Note storiche su Mergozzo

di Elena Poletti Ecclesia, Civico Museo Archeologico Mergozzo

L’insediamento umano a Mergozzo risale per lo meno al V millennio a.C., quando sui terrazzamenti a solatio digradanti verso quello che era allora un golfo del lago Maggiore si distribuivano strutture abitative in materiali deperibili, di cui sono state individuate tracce limitate agli utensili di vita quotidiana in selce, particolarmente concentrati nelle località di Ronco e Pravillano. La posizione era ed è estremamente favorevole per la vicinanza all’acqua, fonte di vita e rete di collegamento, l’esposizione e la presenza, alle spalle del golfo nella piana fluviale del Toce, di aree idonee alle attività agricole.
Se per la preistoria non conosciamo la fisionomia del costruito, che ritroviamo in posizione più elevata rispetto al paese attuale, con l’età romana sappiamo, grazie ai reperti rinvenuti in vari punti lungo l’asse viario che costeggia il lago lungo la riva settentrionale e attraversa il nucleo abitato, che esso si distribuiva secondo la conformazione rimasta fino ad oggi. Dal I secolo d.C. sono note strutture edilizie anche a Candoglia, e più ridotte tracce di presenza nelle frazioni di Nibbio e San Giovanni in Montorfano. Il sito romano di Candoglia, con le fondazioni murarie in pietra di un grande edificio, munito di ambienti riscaldati a pavimento, ci offre un primo indizio della presenza stabile in quel luogo, forse finalizzata allo sfruttamento del marmo rosa che, a partire dal I secolo d.C., troviamo diffuso non solo sul territorio più prossimo, ma fino a Pavia e Milano e lungo tutto il corso dell’idrovia Lago Maggiore-Ticino. Con il Tardo Antico e l’alto Medioevo assume rilevanza il sito di San Giovanni in Montorfano, che ha restituito fasi di edificazione di una chiesa e di un battistero di V-VI secolo e di VIII-IX secolo, seguite dalla costruzione di una chiesa romanica di XII secolo, che vede l’impiego massiccio del granito bianco estratto localmente.
Accanto all’insediamento di Montorfano, che dobbiamo ipotizzare come domus o villa di una singola cospicua famiglia, che si fece promotrice della costruzione degli edifici sacri, dovette proseguire dall’età romana la vita nel vicus di Mergozzo, piccolo paese dove si concentravano più nuclei familiari. Entrambe le località, Mergozzo e San Giovanni in Montorfano, vedono la prima menzione scritta in una pergamena dell’885, in cui vengono date le coordinate di individuazione di un oliveto, sito “in loco et fundo Muregocii” presso la chiesa di “Sancti Johannis”, ai confini con la curtis di Pallanza e il laco (o loco) Stacionense. Con il pieno Medioevo, oltre a più ampie sopravvivenze materiali, riferibili essenzialmente alle chiese e alle strutture fortificate, la documentazione scritta soccorre nella definizione dell’assetto territoriale e insediativo mergozzese, che viene descritto principalmente negli Statuti (1378) e in alcune pergamene presenti negli archivi comunale e parrocchiale di Mergozzo, databili ai secoli XV e XVI. L’ambiente era prettamente rurale: nel paese e appena fuori si presentavano orti recintati o chiosi (clauxi, clausi), mentre intorno all’abitato si estendevano prati, terreni roncati, cioè dissodati, e campi arabili, coltivati soprattutto a cereali minori, come segale e miglio, e, sempre più intensamente a partire dal XVI secolo, anche a frumento. Laddove il terreno si elevava e, a causa di una morfologia alta e accidentata, i campi e gli orti non potevano allargarsi in piano, si coltivava con l’antica tecnica del terrazzamento tramite muretti a secco. Dalla costiera rocciosa scendevano al lago, e scendono tuttora, riali che, con la rete di rogge di derivazione, azionavano mulini, i quali nel Medioevo servivano per la macinazione delle granaglie e per la torchiatura delle noci e delle olive, oggi non più conservati se non nella toponomastica. I documenti restituiscono l’immagine di un paesaggio ben organizzato e sfruttato, costantemente segnato dalla pietra, principale materia costruttiva, onnipresente: nei muretti dei coltivi terrazzati e dei chiosi, nelle case poste dentro e attorno al borgo, fin su, nelle baite delle corti alpestri; nelle strade, nelle piazze, nelle strutture della cerchia difensiva e in tutte le altre su cui s’incentrava la vita comunitaria, come fontane, lavatoi, mulini, forni e, naturalmente, chiese. Proprio guardando alle chiese possiamo senz’altro notare che, se per Mergozzo capoluogo, Candoglia e Montorfano, i nuclei insediativi presero avvio fin dall’età romana e tardoromana, con il Medioevo si svilupparono anche i nuclei di Albo e Bracchio, che conservano importanti testimonianze di architettura romanica di XII secolo, cui dovevano corrispondere piccoli villaggi, di cui possiamo intuire la configurazione antica dalle planimetrie del Catasto teresiano del 1722, che vengono menzionati nelle visite pastorali a partire dalla fine del XVI secolo e di cui possiamo farci un’idea della consistenza demografica. Il vescovo Bascapè nel 1596 annota infatti che la parrocchia di Mergozzo si componeva di 160 famiglie, e da essa dipendevano le chiese di Bracchio, cui facevano capo altre 80 famiglie e di Montorfano, con 10 famiglie, mentre Albo era sede parrocchiale separata con Candoglia e Nibbio. Dal XVII secolo prende avvio in maniera significativa sotto il profilo economico lo sfruttamento delle cave di granito con la prima cava aperta a scopo di commercio nel 1604. Se in precedenza la documentazione riguardava il solo utilizzo del marmo di Candoglia, dal 1387 in concessione esclusiva alla Fabbrica del Duomo di Milano, in seguito larga parte della popolazione è coinvolta nell’attività estrattiva, che raggiunge il suo culmine con il XIX secolo, quando il Montorfano arriva a contare ben 39 cave attive. L’attività nel settore rappresenta a quest’epoca il principale campo d’occupazione maschile, mentre le donne continuano a dedicarsi alle mansioni dell’economia agropastorale tradizionale. Il XIX secolo vede organizzarsi in maniera compiuta anche il Comune di Mergozzo, strutturato in senso moderno dal 1771, mentre a livello economico e sociale si affermano una serie di iniziative che rinnovano
profondamente la comunità locale, tra le quali sono da ricordare la Società Operaia di Mutuo Soccorso (1853), le Latterie Sociali di Mergozzo (1868) e delle frazioni di Albo e Bracchio, gli asili infantili e le scuole pubbliche. Il nuovo tessuto socioeconomico è puntualmente e riccamente documentato e ricostruibile proprio grazie all’archivio storico comunale.

Le Latterie sociali nell’Italia di fine Ottocento

Nei tempi più antichi ciascuna famiglia curava la propria produzione dei prodotti caseari, ma già dal XVI secolo si trova menzione delle prime forme di associazionismo tra allevatori per la lavorazione del latte in spazi comuni, ottimizzando tempi e risorse. Un cambiamento decisivo nell’organizzazione della produzione casearia si registrò solo alla fine dell’Ottocento, con l’affermazione delle latterie sociali o consorziali e turnarie, di cui in tutto il territorio provinciale restano interessanti testimonianze. Alla fine del XIX secolo sono infatti note latterie sociali a Baceno, Premia, Domodossola, Mozzio, Malesco, Mergozzo, Ornavasso, Cuzzago, Bracchio, Albo, Pedemonte, Pallanzeno, Trontano, Beura, Premosello e Baveno. Le latterie sociali contribuirono a svecchiare la pastorizia e l’industria casearia, allineando questo territorio a iniziative analoghe che andavano sviluppandosi in molte zone d’Italia grazie agli incentivi economici accordati dal Ministero di Agricoltura e Commercio del Regno. Risulta che la nostra zona possa vantare addirittura la presenza della più antica Latteria sociale d’Italia, sorta a Baveno nel 1867. Molto rapidamente altre località provinciali sperimentarono questo tipo di iniziativa cooperativistica, nell’epoca storica di affermazione di altre significative forme di cooperativismo, quali le Società Operaie di Mutuo Soccorso. Oltre al Governo, anche le Amministrazioni locali concorsero con premi e incentivi a favorire il sorgere delle latterie sociali, per ovviare agli inconvenienti della lavorazione in proprio da parte dei singoli proprietari: attrezzature insufficienti, scarsa competenza dell’allevatore, scarsa pulizia, il tutto a svantaggio della qualità dei prodotti caseari.
A Mergozzo era in quegli anni presente una figura che fu centrale nella vita sociale del paese, il parroco Gian Maria Albera (Oleggio 1818-Mergozzo 1896), che resse la parrocchia dal 1845 fino alla morte, per oltre 50 anni. Il sacerdote, di idee progressiste e mazziniane, a partire dal 1853 stimolò la nascita della Società Operaia di Mutuo Soccorso, recandosi a Mortara per conoscere il funzionamento della Società Operaia ivi presente, per poi applicare a Mergozzo quanto appreso. Fu inoltre presidente e membro della locale Congregazione di carità per oltre vent’anni, fu imprenditore lungimirante nell’allevamento di bachi da seta, di bovini e nella coltivazione degli appezzamenti appartenenti al beneficio parrocchiale. Proveniente da illustre famiglia di Oleggio “la quale diede uomini popolari alla magistratura, al foro, al clero ed alla medicina”, fu egli stesso “sacerdote colto e di principi liberali” per usare le parole con cui l’avvocato Egisto Galloni, sul giornale L’Ossola, ne annunciava la scomparsa il 18 aprile 1896, parole poi confermate dal medico del paese Giacomo Bona quando, nell’elogio funebre da lui tenuto, così disse: “Da buon patriota prese vivo interesse alle vicende del patrio risorgimento e nella sua casa diede ospitalità agli emigranti”; e qualche anziano del paese ancora ricorda le effigi di Vittorio Emanuele II, di Garibaldi, Mazzini e Pio IX fare bella mostra di sé sulle ante di un armadio posto nella sacrestia della chiesa parrocchiale. Proprio a don Albera, affiancato dall’allora presidente della Società Operaia di Mergozzo, on. Luigi Botta (1798-1875) si deve anche lo stimolo alla costituzione della Latteria Sociale.

Testo tratto dai pannelli della mostra realizzata da Gruppo Archeologico Mergozzo, con il contributo di Comune di Mergozzo, Fondazione Comunitaria del VCO nell’ambito del progetto “La pietra racconta” 2019.

Fonti bibliografiche:
Statuto organico della Latteria Sociale di Mergozzo, Pallanza, Premiato stabilimento tipografico eredi Vercellini, 1893.
Lorenzo Maffioli, Mergozzo nell’Ottocento, una realtà socioeconomica tra pubblica assistenza e mutualismo, in Storia di Mergozzo dalle origini ad oggi, Mergozzo, 2003, pp. 255-348.
Carlo Armanini, Storia della Latteria Sociale di Mergozzo (1868-1971), in Verbanus XXXVI, 2015, pp. 201-215.
Fonti archivistiche: Archivio Comunale di Mergozzo
Si ringraziano per la collaborazione e la documentazione fornita Emilia Grossi, Italo Tomola, Giovanni Sinisi.